Berta Caceres è stata uccisa dalla macchina produttiva capitalista

di Francesca Gargallo Celentani*
Pubblicato Giovedì, 10 Marzo 2016 11:31
da http://www.dinamopress.it/news/berta-caceres-e-stata-uccisa-dalla-macchina-produttiva-capitalista
In ricordo di Berta Caceres, attivista femminista del movimento in difesa dell’ambiente e per i diritti indigeni in Honduras, assassinata lo scorso 3 marzo da due sicari per la sua opposizione alla devastazione ambientale.

 

La macchina produttiva capitalista non si pone alcun limite, nè ecologico-ambientale, nè riguardo al rispetto della vita umana. Ha la necessità di continuare a produrre e per questo ha bisogno di continuare a mettere in campo meccanismi estrattivi (per estrarre qualunq ue cosa: carbone, oro, petrolio, diamanti, magnesio e qualunque altra cosa esista nelle rocce, nella terra, nell’acqua, nella sabbia, nel corpo umano, la flora, la fauna) e generare profitti, e non importa se tali profitti divorino i boschi del pianeta producendo più gas da effetto serra rispetto ad auto, aerei e navi messe insieme.

Chi prova a fermare questo affamato processo produttivista è un nemico. Un pericoloso elemento sovversivo. Un agente di qualcosa peggiore del terrorismo. Vale tutto per distruggerlo. Per questo motivo negli ultimi due anni sono stati assassinati trecento ambientalisti, la maggior parte indigeni, e decine sono stati sequestrati o arrestati con accuse inesistenti.

Il 4 marzo, per esempio, per difendere la zona di Semuk Champey in Guatemala furono catturate le autorità q’eqchi Crisanto Asig Pop e Ramiro Asig Choc. Furono fermate da un gruppo di persone armate, fatte salire con la violenza in un pick up e dopo consegnate alla polizia. Della legalità in America Centrale nessuno se ne ricorda.

Berta Càceres, la dirigente lenca che imparò ad ascoltare ed a parlare con il rio Gualcarque, dove risiede lo spirito femminile dalla cosmovisione del popolo lenca, sapeva che le “bambine” custodiscono i fiumi, l’alimentazione, le piante medicinali e l’acqua che loro condividono con le persone. Berta Càceres ha organizzatio la lotta del suo popolo contro le grandi opere delle multinazionali idroelettriche che, dopo il golpe del 2008, hanno ricevuto ben 47 concessioni per costruire dighe nel paese.

In particolare nel 2006, dopo la visita di diversi membri della comunità di Rio Blanco, che denunciarono la presenza e l’attività nel loro territorio di macchinari pesanti di cui non conoscevano la finalità, Berta Caceres, alla testa del Consejo Civico de Organizaciones Populares e Indigenas de Honduras- COPINH – deiede il via alla resistenza contro la costruzione della diga Agua Zarca.

Agua Zarca stava per essere costruita dalla più grande impresa idroettrica cinese, la Sinohydro Corporation, insieme alla costruttrice locale DESA. La costruzione di tale diga presupponeva la cacciata del popolo lenca dai suoi territori e lo sfruttamente delle acque sacre de rio Gualcarque. La lotta ha affrontato grandi sforzi ed un dirigente contadino è stato assassinato, vi sono state minacce, accuse di reati inesistenti, fino a che nel 2013 la grande impresa multinazionale cinese ha abbandonato il progetto denunciando il governo honduregno a causa della continua e persistente resistenza comunitaria.

Berta e il COPINH hanno fermato il progetto, con una lotta che è stata fonte di ispirazione per la resistenza di tante lotte popolari in Honduras e del mondo. Per questo impegno instancabile ha ricevuto il premio ambientalista Goldman nel 2015.

Nonostante tutto questo, oggi l’impresa DESA sta progettando nuovi piani per rilanciare l’aggressione contro il Gualcarque. “Io personalmente ritengo responsabile l’impresa DESA, costruttrice della diga idroelettrica Agua Zarca nella comunità di Rio Blanco, che in diverse occasioni ha minacciato sia direttamente che indirettamente Berta ” affermò Berta Isabel Zuniga Càceres, figlia della coordinatrice del COPINH, dopo che due sicari sono entrati in casa sua lo scorso 3 marzo all’una di notte sparando quattro colpi di pistola contro l’attivista indigena. Ospite di Berta quella notte era un altro dirigente ambientalista centroamericano, il chiapaneco Gustavo Castro, che ha ricevuto un colpo faccia ed si trova adesso in un ospedale privato honduregno; sicuramente è ancora vivo solo perchè fu creduto morto sul colpo.

Hanno ucciso Berta perchè la temevano e il potere odia chi prova a fermare la sua incessante attività produttiva. Le hanno sparato nel sonno subito dopo la prima giornata di un forum sulle energie alternative dal punto di vista indigeno, uccidendola mentre partecipava insieme ad altri compagni e compagne ad una sfida per la vita di fronte ad un mondo insostenibile che va sempre più in pezzi.

Più che utopica Berta era concreta e cosciente della difficoltà di difendere i diritti dei popoli indigeni nella sua terra. Si rifaceva alla volontà collettiva e alla storia. Mi ha detto in varie occasione che le donne devono tornare a riconoscere di essere streghe, capaci di dare la vita, di occuparci della salute, di conoscere e di sostenere la memoria di un popolo.

Continuava a dire che l’essere streghe oggi significa essere femministe e che il COPINH, di cui è stata una delle fondatrici assieme ad altre compagne ed altri compagni nel marzo del 1993, non solo doveva lottare per la difesa dei diritti umani e del territorio del popolo lenca, contro la presenza militare del commando statunitense in Honduras e in favore del ritorno alla democrazia annichilita dal colpo di Stato del giugno 2008, ma che bisognava lottare anche quotidianamente per una qualità di vita delle donne, la fine della violenza domestica e il riconoscimento del ruolo decisivo a livello culturale ed economico delle donne.

“E’ molto difficile lottare contro il machismo proprio quando assieme ai compagni si vuole costruire un mondo migliore” mi disse accogliendomi in casa di sua madre ad Intibucà nel 2010.

Più che di se stessa, Berta voleva parlarmi di sua madre, Austraberta Flores, ostetrica e attivista sociale del popolo lenca, deputata del congresso nazionale e sindaco di La Esperanza. Austraberta nel decennio del 1980 accolse i rifugiati della guerra civile in El Salvador, proteggendo le donne che fuggivano dalle case dove venivano maltrattate da mariti o padri, aiutando a partorire chi non poteva permettersi un medico privato e insegnando a sua figlia il valore della difesa della vita e della solidarietà.

In altre parole, Berta era orgogliosa di essere la discendente di donne tanto forti. Austraberta Flores davanti alla salma di sua figlia dichiarò che il crimine non rimarrà impunito e che “l’assassinio di mia figlia è l’inizio di una lotta; alziamo la voce e lottiamo per farla finita con un’impunità così tremenda che ci costringe a vivere in una situazione così difficile”

La compositrice honduregna Carla Lara le dedicò una canzone al Gualcarque in cui dice “Una si chiede da dove viene tanta forza, da dove viene Marcelina, da dove viene Berta… mi hanno raccontato un segreto, sono spiriti ancestrali che danno la vita ai corpi, che danno forza ai lenca…”.

In realtà, nel paese più pericoloso dell’America Centrale, dove 13 persone vengon oassassinate in media ogni giorno e dove i femminicidi si moltiplicano in numero e crudeltà, Berta era un’ambientalistra di sorprendente valore. Si muoveva per tutto il paese, appoggiando una comunità marittima della costa Pacifica mentre denunciava lo sfruttamento perpetrato dalle imprese turistiche nelle coste garifunas dell’Atlantico. Era sotto tutela assieme alle due figlie e al figlio dato che in varie occasioni era stata minacciata e aggredita. Nonostante ciò celebrava l’allegria, amava la festa, e non si stancava mai di dialogare con chi credeva potesse darle idee, aiuti, soluzioni.

Il coordinatore del Movimento Madre Tierra Honduras, Juan Almendares, ha definito il suo assassinio come un crimine di lesa umanità, dato che Berta era, ai suoi quasi 45 anni (che avrebbe compiuto un giornodopo il suo assassinio) “la leader maxima nella storia delle lotte ambientali in Honduras, una martire”.

Non è l’unico a riconoscere il coraggio di Berta. Le femministe honduregne la hanno chiamata “la nostra Berta”. Le poetesse, i membri del represso movimento LGTB, le organizzazioni del popolo garifuna e maya chorti hanno manifestato contro l’impunità e le menzogne che attorniano la morte di una donna che non può essere riduttivamente descritto con un solo aggettivo. Suo fratello Gustavo Càceres, ambientalista come lei, ha dichiarato a La Esperanza: “Questo omidicio è responsabilità delle multinazionali”, mentre riceveva l’ambasciatore degli Stati Uniti, James Nealon, e l’inviato dell’Unione Europea, Ketil Karlsen, presentatisi al funerale, che èstato realizzato nella sua città natale, per dimostrare la loro solidarietà alla famiglia.

Qui il comunicato della madre e della figlia di Berta Caceres.

* L’articolo è stato pubblicato su desdeabajo, traduzione a cura di DINAMOpress