L’ex presidente honduregno fa un bilancio della situazione politica, economica e sociale del Paese a partire dalla sua destituzione, pianificata “dalla destra nordamericana”
Manuel Zelaya (Foto G. Trucchi | Opera Mundi)
Tegucigalpa, 2 luglio (Opera Mundi | LINyM)-. Cinque anni fa, l’Honduras fu travolto da una crisi che riportò indietro la sua storia democratica e istituzionale di varie decadi. Alle 5 del mattino del 28 giugno 2009, a poche ore dallo svolgimento di una consultazione popolare non vincolante (Quarta Urna), con la quale si voleva ascoltare la volontà del popolo sulla necessità o meno di realizzare una riforma costituzionale, decine di militari armati fino ai denti fecero irruzione nella casa del presidente Manuel Zelaya, lo portarono fuori ancora in pigiama, lo caricarono su un aereo e, dopo uno scalo tecnico nella base militare nordamericana di Palmerola, lo deportarono in Costa Rica.
Il colpo di stato civile-militare non causò solo una grave rottura dell’ordine costituzionale, ma fece anche collassare l’economia e le istituzioni dell’Honduras, isolandolo internazionalmente e creando una frattura, forse irreversibile, nella società honduregna. “Noi perdoniamo gli esecutori intellettuali e materiali del golpe, ma non possiamo, né vogliamo dimenticare, perché metterebbe il Paese nella condizione di ripetere gli stessi errori. Questo non possiamo permetterlo e i responsabili devono chiedere perdono di fronte al popolo” ha detto l’ex presidente Manuel Zelaya in un intervista esclusiva con Opera Mundi.
Dopo lunghi ed estenuanti negoziati e la firma, nel maggio 2011, degli accordi di Cartagena tra Zelaya e Porfirio Lobo, vincitore quest’ultimo delle contestate elezioni del novembre 2009, l’ex presidente honduregno poté ritornare liberamente nel Paese. Dopo il suo ritorno, Zelaya promosse la creazione del partito Libre (Libertà e Rifondazione) , in quel momento considerato il braccio politico del FNRP (Fronte Nazionale di Resistenza Popolare), il movimento popolare che, con forza e spontaneità, lottò nelle strade contro il colpo di Stato.
Gli accordi promossi e sostenuti dagli allora presidenti di Venezuela e Colombia, Hugo Chávez e Juan Manuel Santos, consentirono la normalizzazione delle relazioni internazionali dell’Honduras e aprirono la strada allo svolgimento delle elezioni generali del novembre 2013, i cui risultati ufficiali hanno dato la vittoria al candidato di governo Juan Orlando Hernandez, tra le forti proteste del partito Libre e della sua candidata Xiomara Castro, moglie dell’ex presidente Zelaya, per le irregolarità registrate nel conteggio e la trasmissione dei voti.
Il partito Libre divenne il principale partito di opposizione, mentre Juan Orlando Hernández si trasformò nel Presidente eletto con il minor numero di voti (36,80%) in più di trent’anni di governi costituzionali.
Ricordando quei giorni, Zelaya, che ora è deputato e capogruppo di Libre al Congresso Nazionale, non nasconde la sua convinzione che ampli settori della politica nordamericana parteciparono attivamente alla sua destituzione.
Allo stesso tempo, attacca con forza quello che considera un “fallimento totale” del presidente Hernández in materia economica, sociale, istituzionale, nelle politiche di sicurezza e di partecipazione cittadina. “Continuano a implementare un modello che esclude la maggioranza della popolazione e favorisce poche persone, nel mezzo di una crescente militarizzazione, dell’accumulazione e il controllo di tutti i poteri dello Stato e di un attacco indiscriminato contro l’opposizione. Nonostante ciò, non riescono nemmeno a governare e il paese va a pezzi”, accusa Zelaya.
Opera Mundi: Sono passati cinque anni da quando venne prelevato da casa sua e caricato su un aereo con destinazione Costa Rica. Qual è la sua lettura attuale di quei momenti?
Manuel Zelaya: Il colpo di stato non fu un evento isolato, ma obbediva a una strategia della destra nordamericana in tutto il continente. Erano state istallate sette basi militari in Colombia, si stava preparando un colpo di stato contro Rafael Correa in Ecuador, la politica di Washington nei confronti del Venezuela si radicalizzò ulteriormente. In questo contesto, le forze reazionarie nordamericane confabularono con dirigenti corrotti del nostro paese e realizzarono il colpo di Stato.
L’obbiettivo era chiaro e lo dichiararono apertamente. “Veniamo per cacciare Chávez dall’Honduras”, dissero. Volevano fermare i progressi che stavamo ottenendo e bloccare la nostra apertura nei confronti di un modello che non esclude la maggioranza della popolazione.
OM: Come sta oggi l’Honduras?
MZ: Si trova in pessime condizioni. L’Honduras è diventato il paese più povero e più violento della regione, con livelli altissimi di corruzione, un’economia al collasso, un debito pubblico e un deficit fiscale insostenibili. Causa molta tristezza vedere lo stesso presidente Juan Orlando Hernández, eletto grazie ai brogli elettorali, ammettere che il paese si trova in recessione economica perché non sta più circolando il denaro del narcotraffico.
OM: In questi cinque anni, l’Honduras è riuscito a riannodare il filo costituzionale spezzato con il golpe?
MZ: Ancora non è stato possibile ricostruire la incipiente democrazia che avevamo nel 2009. La metà delle persone che parteciparono al colpo di stato, sono ancora ben salde al potere. Non si è potuto nemmeno stabilire un dialogo per cercare una accordo politico con un governo che, testardamente, continua a non riconoscere e a reprimere l’opposizione. In questi cinque anni, più di 200 militanti e attivisti del FNRP e di Libre sono stati assassinati.
OM: Qual è la sua analisi sul governo di Juan Orlando Hernández?
MZ: E’ un governo che segue un modello di condotta imposto dagli organismi internazionali. Promuove le privatizzazioni, la vendita del territorio e delle risorse naturali del paese, con un idea di sviluppo molto sbagliata. Inoltre sta promuovendo un regime militarista che distrugge le autorità civili del paese e persegue le opposizioni, sta privilegiando un modello economico escludente, abbandonando l’agenda della partecipazione civile e della consultazione popolare.
In definitiva, il Partito Nazionale è caduto nella trappola di consegnare tutti i benefici economici a piccoli settori, che escludono e sfruttano il resto della popolazione. Questo colloca il paese in una situazione di grande prostrazione, con livelli insostenibili di povertà, corruzione e insicurezza.
OM: Nel suo libro Decisioni difficili, la ex segretaria di Stato nordamericana, Hillary Clinton, dedica un intero capitolo all’Honduras. Di lei dice che è una “caricatura del passato della era dei caudillos centroamericani”.
MZ: E’ la sua opinione … e credo che abbia perso varie battaglie. Ha perso la battaglia della democrazia e della ricostruzione della pace in Honduras, non ha potuto fermare la decisione di tutta l’America Latina di riammettere Cuba nella OEA (Organizzazione degli Stati Americani) e adesso sta cercando di manipolare i fatti.
Sappiamo perfettamente che gli Stati Uniti hanno grandi poteri politici economici e finanziari che manovrano contro la volontà della maggioranza della popolazione statunitense. Quando dico che la destra nordamericana appoggiava il golpe, mi riferisco esattamente a questi settori.
OM: Gli accordi di Cartagena hanno permesso il suo ritorno in Honduras, normalizzare le relazioni internazionali e creare il partito Libre, che ha potuto partecipare alle elezioni del novembre scorso. Alla luce degli ultimi avvenimenti, firmerebbe ancora quegli accordi?
MZ: Ogni epoca è differente e ciò che abbiamo fatto in quel momento e in quel contesto era quello che serviva maggiormente alla società honduregna. Oggi dobbiamo tornare a pensare alla consultazione popolare, a una nuova Quarta Urna, affinché l’Honduras si apra al mondo per favorire gli investimenti e la ripartenza dell’economia.
OM: Il partito Libre nasce come braccio politico dell’FNRP, ma negli ultimi tempi si è visto come quest’ultimo sia un movimento di resistenza popolare in smobilitazione, mentre è il partito che ha assunto l’iniziativa politica nazionale. Quali sono, attualmente, le relazioni tra queste due entità?
MZ: Il concetto di resistenza è un attitudine e una condotta ed è permanente. Tutti siamo in resistenza, opponendoci alle forme crudeli di sfruttamento e di emarginazione del sistema, contro lo status quo imposto dal governo nazionalista.
In questi cinque anni c’è stata una metamorfosi del processo di resistenza e niente è uguale a prima, tutto è cambiato.
Il FNRP continua a esistere, ma le organizzazioni che ne fanno parte sono state vittima di attacchi repressivi e i suoi membri sono stati perseguitati e criminalizzati. Questo ha limitato la sua capacità d’azione. In questo senso non possiamo vedere Libre ed il FNRP come due fenomeni separati. Penso che si tratta dello stesso processo e, anche se ci sono differenze, sono differenze normali in un processo di organizzazione così dinamico come quello che si è strutturato negli ultimi anni.
OM: Quali sono le riforme più urgenti proposte da Libre e come ottenerle in un Congresso dove il partito è in minoranza?
MZ: Abbiamo bisogno di ricostruire il sistema repubblicano e democratico dell’Honduras, che è stato distrutto. Nel paese, ad esempio, non c’è un Congresso, bensí un’assemblea manipolata da un partito che prepara l’agenda, discute e approva quello che vuole. La stessa cosa sta accadendo negli altri poteri dello Stato. Vogliamo che si stabilisca un vero dibattito e ciò che stiamo facendo è farci sentire con forza, proponendo tutte quelle tematiche che sono urgenti per il paese. In questo senso è necessario ripensare il sistema dell’ordine pubblico, smilitarizzando la società, professionalizzando e promuovendo una polizia comunitaria, affinché siano le comunità a vigilare sul processo. E’ necessario riformare completamente l’apparato giudiziario affinché sia indipendente e trasparente, così come rivedere il modello economico, i trattati commerciali che l’Honduras ha ratificato.
Bisogna anche tornare a coinvolgere la popolazione, riattivando un progetto sociale che punti alla partecipazione cittadina e alla consultazione popolare. Tutto questo si può fare solo con il consenso, riconoscendo, rispettando e dialogando con l’opposizione.
OM: Cosa resta di quel 28 giugno 2009?
MZ: indubbiamente è stato un evento tragico che ha lasciato ferite aperte e una scia di morti e feriti. Allo stesso tempo ha rappresentato l’inizio di un processo sociale che oggi si è trasformato in un processo istituzionale di riforme e cambiamenti per il nostro paese. Abbiamo la speranza di poter arrivare presto ad una società più giusta, con più equità, dove la popolazione non soffra quotidianamente la violenza, il militarismo e la repressione.
Traduzione: Sergio Orazi
Fonte originale: Opera Mundi (portoghese)
Fonte in spagnolo: LINyM