Honduras: il cielo aperto dalle miniere

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Emilia Giorgetti
Due sicari dell’impresa, armati di fucili di grosso calibro, si aggirano sul sagrato della chiesina azzurra dove gli abitanti de La Nueva Esperanza, dipartimento di Atlántida, sono raccolti per cercare l’uno nell’altro la forza per non mollare e non soccombere alla paura. Nella penombra della piccola sala la voce di padre Ismael, attutita dallo scroscio della pioggia tropicale, plasma le parole del Vangelo fino a trasformarle in un messaggio forte di resistenza contro la prepotenza del denaro e delle armi. Finita la messa si avvicina l’anziano don Enrique: “Non so di cosa sono fatti i sogni. Dicono che si può sognare anche chi non si conosce. Quello che so è che vi ho sognato. Ho sognato che venivate ad appoggiarci.” Ci accoglie con queste parole. La sua comunità lotta per proteggere questo angolo di paradiso tropicale dalla minaccia di una nuova attività mineraria a cielo aperto. La concessione per lo sfruttamento di un giacimento di ossido di ferro – ma tutti sanno che il vero bottino è l’oro – inizia a 200 m dalla sua casa.
Il terreno della concessione include sedici comunità, la cui economia è fiorente e basata sull’allevamento: l’inquinamento o l’esaurimento delle fonti di acqua provocherebbero la perdita irreversibile di ogni mezzo di sostentamento. Nonostante il netto rifiuto di vendere la terra, i tentativi dell’impresa per impossessarsene continuano e molti degli abitanti stanno ricevendo minacce e pressioni, come gli sms minatori che partono direttamente dal telefono cellulare del proprietario, il signor Lenir Pérez, genero dell’onnipotente oligarca Miguel Facussé, o le lettere anonime recapitate a molte persone coinvolte nella lotta, che mostrano la sua inconfondibile e rozza maniera di esprimersi. I suoi reiterati tentativi di aprire strade e di introdurre macchine movimento terra sono stati più volte respinti dalla resistenza della popolazione fino a che, il 6 giugno 2013, un gruppo di uomini armati, accompagnati dalla polizia, si è insediato in una delle abitazioni vicine alla concessione e da quel momento ha iniziato a seminare il panico, minacciando, sparando e imponendo il coprifuoco alla popolazione terrorizzata. Il 14 giugno 2013 il maestro è sfuggito miracolosamente alle loro pallottole e ha deciso di fare le valige. Il parroco guatemalteco, padre César, vittima di attacchi personali sempre più violenti, per ragioni di sicurezza e nel timore dell’espulsione dal paese, non può abbandonare la casa parrocchiale ad Arizona: due ore di sterrata da La Nuova Esperanza, tra pozze di fango e fiumi da guadare. Un primo risultato per spezzare la resistenza è stato raggiunto, cancellando due dei punti di riferimento della comunità: la scuola e la chiesa, dove non si dice più messa. Intanto, grazie alla protezione dei sicari, una sessantina di operai provenienti da comunità lontane aprono strade invadendo proprietà private, disboscano e sventrano la montagna, trasformano l’acqua dei torrenti in una densa colata color cioccolato, sotto lo sguardo atterrito della popolazione impotente.
A La Nueva Esperanza sanno bene che il più piccolo cedimento alle richieste dell’impresa per loro sarebbe fatale. L’esperienza di Agalteca, sulle montagne a nord est della capitale Tegucigalpa, è un esempio per tutti. I dieci chilometri di strada sterrata che dalla statale conducono ad Agalteca sono una processione ininterrotta di TIR che trasportano, nascosto da un telone, un carico poco voluminoso. Fanno la spola tra la miniera Five Stars Mining (5SM) che il gruppo italiano Colacem ha aperto ad Agalteca e il porto di San Lorenzo, dove rovesciano su enormi navi cargo dirette in Cina la terra del Pico Redondo, ricca di ferro. La miniera a cielo aperto, da lontano, è una gigantesca ferita che si espande come un tumore inghiottendo, uno dopo l’altro, ettari di foresta di pini. L’attività della 5SM ha subito un crescendo negli anni e, pian piano, ha prosciugato il río Chiquito, mentre il río Santa Clara, quello che rifornisce di acqua il paese, è ormai un rigagnolo di fanghiglia rossa, dove anche le mucche rifiutano di abbeverarsi. Ancora 5 o 6 anni e ad Agalteca non resterà nessuno. Sarà uno dei tanti villaggi fantasma divorati dall’attività mineraria. E i suoi abitanti, quelli che non sono riusciti ad arricchirsi e a fuggire in tempo, ingrosseranno le fila dei poveri che premono ai margini delle grandi città.
L’affare per la 5SM si aggira sui 36 milioni di dollari all’anno, con una imposta virtuale allo stato del 3%, calcolata su un tasso di estrazione che nessuno controlla, ma che è autocertificato. Se prima l’impresa si limitava ad estrarre terra, adesso le attività sono molto più misteriose. “C’è stato un forte investimento in macchinari e sistemi di lavaggio e decantazione” secondo Andrés (nome di fantasia), impiegato alla 5SM. “Una parte della terra è trattata con attenzioni particolari: lavata e purificata fino a che resta una piccolissima quantità che, probabilmente, viene portata via con l’elicottero che arriva tutti i giorni e riparte subito dopo.” Uranio? Terre rare? Chi può dirlo? Una cosa è certa: anche se fosse solo oro, il processo non dichiarato di estrazione e lavaggio con cianuro, avrà conseguenze devastanti sull’ambiente.
“Paura di perdere qualcosa? Se abbiamo già perso tutto!” dice Nicolás, il presidente della cooperativa agricola Unión y Esfuerzo. Il piccolo centro di Agalteca è attraversato, giorno e notte, almeno 400 volte, da camion maleodoranti. La polvere è ovunque: negli occhi, nelle orecchie e nei polmoni. Il rumore assordante e continuo impedisce quasi di parlare. L’aumento forsennato del traffico di TIR, che hanno già ucciso due persone, tra cui un bambino, ha ucciso anche la piantagione di canna da zucchero della cooperativa e reso inservibili i macchinari per la produzione di dulce de caña. L’ennesimo e disperato tentativo di negoziazione con l’impresa è un fulgido esempio di  colonialismo all’opera. Lo stesso del 1492: le perline di Cristoforo Colombo, sommate all’incapacità di infilarle in una collana. Si scopre che la cooperativa, da più di un anno, collabora con la 5SM. Affitta dei camioncini di movimento terra e con questi rimuove gli scarti della miniera. “Non avevamo scelta” annaspa don Nicolás. Ma ormai fanno parte del gioco perverso: fanno affari con il nemico e il nemico è fortissimo. Rispetta tutte le leggi, come ci ha informato il gerente locale, il signor Alessandro Morroni. Esce immacolato da ogni ispezione ambientale. Ha dato lavoro a tutta la comunità. Le sue regalie hanno abbellito e modernizzato Agalteca. Se i 130.000 $ stanziati per la costruzione della strada alternativa per i camion giacciono intonsi in un conto bancario è perché la comunità non ha ancora disegnato il percorso. Se i 130.000 $ elargiti al patronato si sono volatilizzati la colpa è dei suoi membri. L’incontro si conclude con una vittoria campale della 5SM. Da una parte, conoscenza dettagliata delle regole (fatte su misura per loro), della psicologia e delle necessità della comunità. Dall’altra, un gruppo di sprovveduti, alle prese con un nemico di cui non riescono nemmeno a intuire la forza e la capacità di corruzione.
Intanto, mentre gli scavi consumano inesorabilmente la montagna e la foresta di pini, trasformandola in un gigantesco ammasso di terra che, alle prime piogge, si trasformerà in fango e scivolerà a valle inghiottendo case e coltivazioni, la maggior parte della comunità tace e sopporta. Infatti la 5SM ha saputo ingraziarsela coinvolgendola nell’affare e concedendo che fossero gli stessi abitanti di Agalteca a gestire il trasporto del prodotto fino al Pacifico. E ora che hanno venduto la terra o ipotecato la casa per comprarsi il camion non possono tornare indietro. E poi la 5SM ha i suoi santi, non in Paradiso, ma in Vaticano. Il suo proprietario regalò al precedente Papa un calice di oro massiccio con l’incisione “oro di Honduras” e si sospetta che il cardinale Rodríguez, vescovo di Tegucigalpa, ne sia azionista. Di sicuro è venuto in pompa magna a benedire la miniera e, per l’occasione, ha promesso di promuovere a parrocchia la piccola chiesa del paese.
Agalteca non è il solo affare della Colacem in Honduras. A parte il tentativo fallito di mettere le mani su La Nueva Esperanza, Colacem gestisce una miniera di oro nel dipartimento di Olancho e ha ottenuto la concessione per lo sfruttamento a cielo aperto di altri giacimenti di oro nel dipartimento di El Paraíso. El Pelón, per esempio, è la montagna che dovrebbe essere divorata dall’attività della El Barro Mining Company, succursale di Colacem, attraverso un complicato sistema di controllate. Anche se il 29 di luglio del 2005 le comunità interessate dichiararono ufficialmente, e secondo le modalità previste dalla legge, il loro rifiuto ad ospitare qualunque attività mineraria, la compagnia è ritornata alla carica con le autorità, sciorinando tutti i suoi mezzi di seduzione. A El Barro si stanno attrezzando per lottare, con le unghie e con i denti, per la difesa del territorio.
In Honduras la resistenza contro l’aggressione delle compagnie minerarie è in continua crescita. Con la nuova Ley de Minería, approvata dal Congresso il 23 gennaio scorso e scritta con la collaborazione diretta delle imprese multinazionali interessate e di alcune ambasciate straniere, ci si aspettano 3-400 nuove concessioni, corrispondenti a circa il 15% del territorio nazionale. In controtendenza con molti paesi dell’America Latina dove, come in Costa Rica, le miniere a cielo aperto sono ormai vietate, oppure è in corso un vivace dibattito volto ad eliminarle, la nuova legge non pone alcun limite a questa pratica devastante per l’ambiente e anche poco conveniente in termini occupazionali. Inoltre, le entrate previste dalla normativa sono quanto meno ridicole. Per l’estrazione dei metalli è prevista una tassa di solo il 6% del valore delle vendite (e persino inferiore nel caso non metallico) di cui l’1% è a favore dell’autorità mineraria nazionale, il 2% è destinato alla municipalità che ospita la miniera, l’1% a non meglio precisati “progetti di sviluppo” e il rimanente 2% è destinato alla polizia sotto forma di tassa di sicurezza. In conclusione, l’unica forma di distribuzione e socializzazione a livello nazionale della ricchezza prodotta dall’attività estrattiva consiste nel rafforzamento delle forze dell’ordine, cioè della repressione, in un paese che sta vivendo un processo di militarizzazione in continua crescita.
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