Honduras scosso da una crisi terribile dei diritti umani

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Elezioni fraudolente e usurpazione presidenziale annunciano forte instabilità

Tegucigalpa, 5 febbraio (Rel-UITA | LINyM) –
Juan Orlando Hernández si è insediato per il secondo mandato nel mezzo di una profonda crisi sociale ben lungi dal concludersi.
A Tegucigalpa e in diverse parti del paese, migliaia di persone sono state vittime della brutale repressione delle forze di sicurezza.  Nel discorso pronunciato in uno stadio mezzo vuoto e di fronte solamente al corpo diplomatico accreditato nel paese -nessun leader politico ha partecipato all’evento- Hernández ha aperto le porte al dialogo e alla riconciliazione, auspicando scenari di pace, progresso e sviluppo che nulla hanno a che fare con la drammatica realtà del paese.
Più del 60% della popolazione vive in povertà, il 44% in povertà estrema. Anche se negli ultimi anni ci sarebbe stata un’inversione di tendenza, gli indici di violenza e impunità continuano a essere tra i più alti al mondo. Debito pubblico alle stelle, svendita del territorio e privatizzazione dei beni comuni, sottoccupazione e lavoro precario in forte crescita, corruzione e impunità come “normalità”.

Galleria di foto della repressione del 27 gennaio

Galleria di foto veglia di protesta di fronte all’ambasciata Usa

Un pueblo movilizado que se niega a vivir arrodillado (video)

Inoltre la responsabilità delle principali istituzioni nella legittimazione della frode elettorale, così come l’uso sproporzionato della forza per cercare di zittire le folle che si sono sollevate contro questo abuso, hanno finito per contribuire ad abbattere quel poco che era rimasto delle istituzioni in Honduras.

Secondo il rapporto Monitoraggio delle violazioni dei diritti umani nel contesto della frode elettorale presentato pochi giorni fa dalla Coalizione contro l’impunità, tra il 26 novembre 2017 e il 23 gennaio 2018 si sono registrate 33 morti di persone che partecipavano alle proteste contro i brogli.

In più sono stati accertati oltre 200 feriti, più di 1350 arresti, 34 persone hanno dovuto abbandonare il luogo in cui vivevano a causa della violenza e sono stati segnalati 64 casi di gravi violazioni alla libertà di espressione. C’è anche una persona vittima di sparizione forzata.

In particolare i diritti alla libertà di espressione, opinione e informazione sono stati strategicamente presi di mira della forze armate e di polizia per cercare di mantenere una cappa di silenzio e intimorire i media indipendenti. Questa strategia è stata effettuata sia attraverso attacchi sistematici contro noti difensori dei diritti umani e leader del movimento sociale, sia contro i mezzi di comunicazione alternativi.

Uno Stato che viola i diritti umani

“Ci troviamo di fronte a uno Stato che viola completamente i diritti umani, perché non solo reprime la protesta ma lo fa con crudeltà, in modo disumano, violando i protocolli internazionali”, ha detto Gilda Rivera, direttrice del Centro dei diritti delle donne, Cdm, una delle 40 organizzazioni che fanno parte della Coalizione.
I principali responsabili delle violazioni nell’ambito della crisi post elettorale sono le forze di sicurezza dello Stato, in particolar modo la Polizia militare dell’ordine pubblico, le Forze armate e il ministero degli Interni attraverso la Polizia nazionale e la Direzione della polizia di’investigazione.
Nel rapporto sono stati identificati 11 tipologie di violazioni dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza, tra cui l’uso sproporzionato di lacrimogeni, perquisizioni illegali, l’applicazione di punizioni e pubbliche umiliazioni e l’uso di strumenti militari e di polizia non autorizzati.
Si è anche accertato l’uso dell’infiltrazione di agenti di sicurezza nelle proteste per identificare leader e dirigenti, azioni di pedinamento, minacce e persecuzioni e l’uso eccessivo della forza contro le persone arrestate.
La Coalizione contro l’impunità segnala anche il “ruolo carente e irrilevante” del Meccanismo nazionale di protezione dei difensori dei diritti umani.
“L’Honduras è nuovamente un paese in cui non esiste un quadro giuridico formale di rispetto ai diritti umani per coloro che si oppongono alla dittatura. Siamo vittime di una violenza di stato, con istituzioni deviate dal potere economico e politico, che hanno una propria strategia di repressione ben chiara e che sono esperte nel reprimere, violare i diritti e perseguitare la gente”, assicura Rivera.

Un popolo che resiste
Il rapporto ha anche messo in evidenza la reazione della popolazione di fronte alla frode elettorale, sottolineando le diverse forme di resistenza e lotta.
“Gli attori sociali e politici di questa fase di opposizione ai brogli sono i movimenti sociali le organizzazioni territoriali, le organizzazioni contadine, comunitarie e i popoli originari. Durante le proteste il ruolo da protagonista è stato ricoperto dalle donne, dalla gioventù e dai settori della classe media. Hanno difeso con profonda dignità il rispetto alla sovranità popolare contro quanti violano la Costituzione. Questa è stata la cosa più importante in questi due mesi di lotta”, ha concluso Rivera.
Intanto, il “presidente” Hernández ha convocato un tavolo con il beneplacito delle Nazioni unite per, dice, cercare una soluzione alla crisi. Parallelamente, l’Organizzazione degli stati americani ha nominato l’ex presidente guatemalteco Álvaro Colom per creare un altro tavolo, in cui discutere la strategia anticorruzione della Missione di sostegno alla lotta contro la corruzione e l’impunità in Honduras, Maccih, che nei giorni scorsi ha lanciato un duro -ma anche tardivo- attacco contro quello che è stato denominato il “patto d’impunità”.
La Maccih e il suo coordinatore, il peruviano Juan Jiménez Mayor, hanno denunciato infatti l’approvazione in parlamento, pochi giorni prima del suo scioglimento, di una modifica delle legge di bilancio che, in pratica, garantisce l’impunità per tutti quei deputati invischiati in casi di corruzione. Sarebbero almeno 60 -quasi la metà del totale- i deputati sotto accusa, tra cui il presidente del Congresso e fedelissimo di Hernández, Mauricio Oliva.
Per il momento le opposizioni rifiutano questo tipo di “dialogo”, una strategia già  usata dopo il golpe del 2009 per dilatare i tempi, indebolire la protesta popolare, dividere il movimento, creare confusione e disillusione. La richiesta continua a essere la stessa: dialogo con un mediatore internazionale le cui conclusioni siano vincolanti, auditing forense internazionale al sistema informatico del Tribunale supremo elettorale, possibile ripetizione delle elezioni, convocazione di una assemblea nazionale costituente originaria.

Fonte: Rel-UITA

Di Giorgio Trucchi | Rel-UITA
Traduzione: Gianpaolo Rocchi