Intervista a Miriam Miranda

Le donne Garifuna dell’Honduras mettono a rischio se stesse in un paese dove non esiste uno stato di diritto

Il 2 marzo 2016 Berta Cacerés, leader nella difesa dei diritti del popolo Lenca dell’Honduras, ambientalista e femminista, viene assassinata per le sue lotte contro l’espropriazione delle terre indigene e contro le violenze istituzionali e militari da parte di un governo colluso con le multinazionali e il narcotraffico: un femminicidio politico che ancora vede impuniti i suoi mandanti intellettuali. Le lotte di Berta e della sua organizzazione (COPINH-Consiglio Cívico di Organizzazioni Popolari e Indigene dell’Honduras) non sono le uniche dello stato centroamericano. Una delle sue più importanti compagne è stata e rimane Miriam Miranda, leader Garifuna dell’organizzazione OFRANEH (Organización Fraternal Negra Hondureña), che insieme a Berta nel 2015 ha vinto il premio per i diritti umani Oscar Romero e che nel 2019 ha ricevuto a Berlino il premio della Fondazione Friedrich Ebert (FES) per il suo impegno politico in un paese tra i più pericolosi per l’attivismo e la difesa dei diritti umani. A seguito di una serie di femminicidi e di sparizioni forzate di giovani appartenenti alla comunità Garifuna, ho avuto occasione di intervistarla.  

Miriam, innanzitutto puoi spiegarci le origini del popolo Garifuna e dell’organizzazione OFRANEH? Il popolo Garifuna è un popolo ibrido: indigeno, caraibico arahuaco, e di discendenza africana, che si è stabilito nel Sedicesimo secolo nell’isola caraibica di S. Vicente, dove nel 1797 subisce il primo dislocamento forzato da parte dei britannici, arrivando in seguito sulle coste dell’Honduras e in Belize, Guatemala e Nicaragua. Oggi comunità Garifuna sono presenti anche negli Stati Uniti. È un popolo che ha sempre lottato contro il colonialismo e la riduzione in schiavitù e in conformità con queste lotte più di trent’anni fa è nata OFRANEH, per combattere il razzismo e la discriminazione.  

Quali sono le attuali lotte di OFRANEH? OFRANEH oggi rivendica soprattutto i diritti territoriali, che sono inevitabilmente anche diritti culturali, perché l’identità culturale del popolo Garifuna è legata al suo poter vivere liberamente nel proprio territorio. La sua è anche la lotta di altre organizzazioni honduregne, come il COPINH, e di movimenti diffusi in tutto il continente latinoamericano, per la rivendicazione dei diritti ancestrali e territoriali. È un impegno portato avanti grazie a mobilitazioni, proteste pacifiche e denunce presentate sia alle autorità nazionali, sia alle organizzazioni internazionali come la commissione interamericana per i diritti umani. Una lotta per l’esistenza contro la politica di vaciamiento (svuotamento) delle terre agita attraverso una strategia del terrore e l’esercizio sistematico della violenza contro un popolo pacifico. A questa violenza si aggiunge l’enorme problema del narcotraffico e tutto ciò sta provocando una forte emigrazione dai territori Garifuna.  

Il 15 gennaio 2023 sono state uccise tre donne Garifuna sulla spiaggia di Puerto Cortez: Cristy Espinoza, Janaira e Ana Castillo. Molte sono le donne uccise e il femminicidio in Honduras è all’ordine del giorno. Puoi parlarci delle donne nelle comunità Garifuna, del loro ruolo di attiviste e come questo è connesso alle violenze che subiscono? Il popolo Garifuna è matrilineare (cioè stabilisce la discendenza per via materna) e la sua struttura organizzativa più antica e più importante è quella delle donne, le quali hanno tuttora un ruolo fondamentale sia nella trasmissione generazionale dell’identità culturale, sia nel sostegno delle comunità. Le donne sono sempre presenti per risolvere i conflitti e negli ultimi anni sono state molte coloro che hanno avviato processi di lotta e resistenza per la salvaguardia del territorio. Lo hanno fatto mettendo a rischio se stesse, in un paese dove non esiste uno stato di diritto e dove noi donne Garifuna subiamo razzismo e disprezzo per essere differenti. Non lottiamo solo per i diritti delle donne, ma anche contro le discriminazioni di uno stato che è istituzionalmente razzista. È in atto un continuo processo di criminalizzazione delle donne e molti sono gli ordini di cattura che subiscono per le loro attività di defensoras dei diritti.  

Esiste una relazione tra l’uccisione delle donne e quella di giovani Garifuna e la loro sparizione? La presenza di gruppi criminali e il fatto che in Honduras stiamo vivendo in una narcodittatura rende ancor più vulnerabile il popolo Garifuna, che si trova all’interno di dispute legate al narcotraffico, le quali generano violenza anche in seno alle comunità, aumentando i rischi per i difensori e le difensore dei diritti umani, prelevati dalle proprie case, come è successo al presidente del Patronato della comunità di Triunfo La Cruz il 18 luglio del 2020, scomparso insieme ad altri tre giovani. La nostra vulnerabilità sta nella rivendicazione dei nostri diritti e nella denuncia del dislocamento in corso, che mette a rischio il futuro del nostro popolo.  

La tua, come quella di Berta Cacerés e di molte altre attiviste, è anche una lotta contro il patriarcato nelle sue varie forme. Che significato assume per te e per le donne della comunità Garifuna la lotta femminista? Ritengo che le donne nel movimento femminista abbiano ottenuto diritti fondamentali nel corso dei secoli, come quello al voto, o a decidere autonomamente del proprio corpo. Con queste rivendicazioni il femminismo si è diffuso nel mondo, ma allo stesso tempo c’è stata una mancanza significativa intorno alla quale si è aperto un grande dibattito, che riguarda la necessità di incorporare il tema territoriale e della diversità dei corpi. Corpo non significa solo il corpo delle persone, ma anche il corpo del territorio, delle comunità. Come femministe dobbiamo considerare la diversità, perché non esiste solo il tuo corpo come donna. Il tuo corpo dipende da quello di un’altra donna, che produce quello di cui ti alimenti e che viene sfruttata affinché tu abbia accesso alla tecnologia. Rivendicare il proprio spazio individuale e personale è importante, ma senza dimenticare che siamo parte di un tutto e che ci sono altre realtà, oltre la tua, in cui molte vengono sfruttate, violentate, criminalizzate per la difesa del proprio territorio e delle risorse naturali, che altre donne necessitano e utilizzano. Il dibattito in corso a livello mondiale è molto interessante e genera nuove dinamiche in cui le femministe si stanno posizionando verso un ulteriore cambiamento radicale, dopo quello legato all’ottenimento del diritto di voto e all’istruzione, una lotta che va celebrata per tutto quello che ha portato alle donne e che si è svolta all’interno delle mura domestiche, ma che ha dovuto soprattutto affrontare una società profondamente patriarcale e negazionista dei diritti delle donne. Tuttavia oggi va evidenziata la lotta passata e attuale di molte attiviste contro il razzismo, a volte agito da parte delle stesse donne. Inoltre le donne dei territori indigeni e dell’area rurale contribuiscono in modo significativo alla vita che altre svolgono nelle città, nell’area urbana. Mi riferisco a questo quando sottolineo l’importanza del dibattitto intorno a questi temi e la necessità di assumere un posizionamento chiaro come femministe.  

Cosa possono fare attivist* in Italia e in Europa, in particolare dei movimenti femministi, per sostenere le lotte nelle comunità Garifuna?  In Europa la comunità deve capire che il modello di vita imposto negli ultimi anni, o meglio negli ultimi secoli, è insostenibile. L’attuale modello di consumo colpisce in modo particolare i territori indigeni. Il popolo e i movimenti sociali europei sono chiamati a un cambiamento rispetto al loro sfruttamento delle risorse naturali, che non sono interminabili e che al contrario si stanno esaurendo. Molto di quello che resta si trova nei territori indigeni, anche nei territori Garifuna e della popolazione nera honduregna. I movimenti europei devono informare la propria comunità di quello che sta succedendo e che si tratta di uno sfruttamento che sta distruggendo l’umanità. Il pianeta si rigenererà, ma l’essere umano scomparirà molto più rapidamente di quanto pensiamo. Anche il discorso intorno al combustibile fossile per la generazione di energia porterà alla distruzione del pianeta. Noi non abbiamo bisogno che il popolo europeo lotti e lavori per noi, noi stiamo facendo quello che dobbiamo: lottare e resistere. Ma molte imprese che si sono stabilite nel nostro paese sono europee e non solo sfruttano le risorse ma mettono a rischio la vita delle defensoras. Credo che ci sia molto documentazione relativa all’assassinio di Berta Cacerés, ma sono molte le attiviste uccise o incarcerate per difendere le risorse del proprio territorio. È questo il lavoro da fare, prima di tutto evidenziare in Europa il comportamento di chi è a capo delle imprese che sfruttano il nostro continente.

Intervista a cura di Marina della Rocca.

Per ulteriori approfondimenti:

https://ofraneh.wordpress.com/ (sito ufficiale di Ofraneh)

https://invidious.snopyta.org/watch?v=w8DngGqmk74 (un’intervista in spagnolo a Miriam Miranda)