Omicidio Berta Cacéres: anche il testimone è a rischio

Gustavo Castro Soto (nella foto), attivista messicano, fondatore e direttore della ong Otros Mundos Chiapas, si trovava nella casa della donna quando è stata uccisa, nella notte tra il 2 e il 3 marzo scorsi. Ferito, non può lasciare l’Honduras: il 6 marzo è stato bloccato all’aeroporto di Tegucigalpa, ed è protetto all’interno dell’Ambasciata del Messico. Alcune organizzazioni per i diritti umani temono per la sua vita
di Luca Martinelli – 7 marzo 2016

Domenica 6 marzo, intorno alle 5 del mattino, il governo honduregno ha impedito a Gustavo Castro Soto, cittadino messicano, attivista da oltre vent’anni impegnato nei movimenti sociali centro americani, di lasciare il Paese. Nella notte tra mercoledì e giovedì scorso, Castro si trovava nella casa di Berta Cacéres, ed è stato ferito dalle stesse persone che hanno ucciso l’ambientalista honduregna appartenente al popolo Lenca, Goldman Prize 2015. 
L’uomo è stato fermato all’interno dell’aeroporto di Tegucigalpa, la capitale del Paese, dove il coordinatore dell’associazione Otros Mundos Chiapas, partner del COPINH (Consejo Civico de Organizaciones Populares e Indigenas de Honduras), la ong diretta da Berta Cacéres, era arrivato scortato dai massimi rappresentanti del governo messicano nel Paese centroamericano, l’ambasciatrice e il console. Castro si trovava a La Esperanza per partecipare ad un incontro sulle energie rinnovabili, nell’ambito di progetti di scambio che lo legano alle attività del COPINH
 dai primi anni Duemila.
Attualmente, Castro -contro il quale sono stati esplosi due colpi di arma da fuoco dagli assassini di Berta Cacéres, e che risulta ferito a una mano e ad un orecchio- è protetto all’interno dell’ambasciata messicana, dove sta ricevendo anche assistenza psicologica.
Fonti vicine alla famiglia Cacéres, spiegano che “viene trattenuto perché vorrebbero usarlo per manipolare supposte ‘contraddizioni’ con altre versioni dei fatti”. Secondo la denuncia di Otros Mundos Chiapas, il governo honduregno e i pubblici ministeri che stanno indagando sull’accaduto non avrebbe però spiegato ufficialmente per quale motivo il cittadino messicano sia trattenuto nel Paese. Numerosi reti ed organizzazione della società civile centro americana esisgono che Castro possa
 al più presto abbandonare il Paese.
La Procura -con cui il cittadino messicano ha ampiamente collaborato nei giorni di giovedì, venerdì e sabato- considera sospette tutte le persone che hanno avuto contatto con la Cacéres nelle 24 ore precedenti alla sua morte violenta. Un militante del COPINH è stato fermato, e risulta indagato: l’organizzazione indigena -che Cacéres aveva contribuito a fondare poco più che ventenne, nei primi anni Novanta- teme che ciò manifesti la volontà della magistratura di qualificare il crimine come “passionale”.
I 4 figli di Berta, Olivia, Berta, Laura e Salvador, in una conferenza stampa che si è tenuta sabato 5 marzo, a margine del funerale della madre, cui hanno partecipato migliaia di persone da tutto il Paese, hanno sottolineato  l’esigenza di “una commissione internazionale imparziale che porti avanti l’inchiesta giudiziaria su questo crimine, un organisimo di cui entrino a far parte la Commissione interamericana per i diritti umani, organismi internazionale di tutela dei diritti umani oltre alle istituzioni governative pertinenti, poiché è già dimostrata una mancanza di oggettività nel modo in cui sono state avviate le indagini nel Paese”.
Secondo i figli di Berta Cacéres, che il 4 marzo avrebbe compiuto 45 anni, la scelta di uccidere la donna è maturata nell’ambito della lotta che il COPINH porta avanti contro la costruzione della centrale idroelettrica denominata Agua Zarca, che meno di 12 mesi fa le era valso il Goldman Environmental Prize, il “Nobel alternativo” per l’ambiente assegnato ogni anno a 6 ambientalisti di tutti i continenti, come raccontavamo in un’intervista della primavera 2015.