Proteste in Honduras esigono le dimissioni del presidente per connessioni col narcotraffico


La messa in discussione del Governo di Juan Orlando Hernández per il suo vincolo con gruppi del narcotraffico scatena lo scontento sociale e la popolazione si riversa nelle strade per esigere le sue dimissioni.

Rosa María Narváez

Lunedì 21 ottobre 2019

 

Migliaia di honduregni mercoledì scorso hanno invaso le strade dalla capitale chiedendo le dimissioni del presidente Juan Orlando Hernández, per denunce che lo vincolano al narcotraffico in un processo contro suo fratello minore a New York. Le giornate di protesta hanno incluso blocchi stradali, occupazione di viali, con un’alta partecipazione di settori giovanili e studenteschi.

Il fatto è che dal 2 ottobre scorso si sta svolgendo a New York un processo in cui Juan Antonio “Tony” Hernández, fratello dell’attuale presidente dell’Honduras Juan Orlando Hernández, è accusato dei reati di narcotraffico, traffico di armi, falsa testimonianza.

Il suddetto processo implica anche Juan Orlando Hernández, attuale presidente dell’Honduras, Porfirio Lobo (ex presidente dell’Honduras 2010-2014), Roberto Ordoñez, attuale Ministro per l’Energia, e vari elementi delle alte gerarchie della Polizia. Va detto inoltre che 11 dei 59 deputati del Partito Nazionale al governo sono stati segnalati per i loro vincoli col narcotraffico.

Tony Hernández è accusato dal Dipartimento di Giustizia dei reati di possesso di armi, falsa testimonianza e cospirazione per aver collaborato con l’ingresso su “vasta scala” di droga negli Stati Uniti, e potrebbe ottenere perfino l’ergastolo, tuttavia la sentenza sarà resa nota il 17 gennaio 2020.

Le proteste s’inquadrano in un’ondata di malcontento e di messa in discussione nei confronti di vari governi latinoamericani che stanno applicando i piani di riordinamento dettati dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) e dalla Banca Mondiale.

È il caso di Ecuador, Colombia, Haiti e delle recenti manifestazioni di massa della popolazione in Cile, che malgrado lo stato di emergenza e la repressione scatenata da Sebastián Piñera, sono riuscite a far rientrare il provvedimento di aumento del trasporto, volto a colpire i settori più vulnerabili.

In America Centrale, anche paesi come il Costa Rica stanno dando segnali di malcontento e organizzazione a tutela dell’educazione, per il legittimo diritto dei lavoratori a difendere i propri diritti con scioperi e blocchi e contro i piani di riordinamento e rincaro della vita dettati dagli organismi internazionali.

In Honduras sono stati numerosi gli atti che han messo sotto accusa il governo di Juan Orlando Hernández, il più rilevante nel 2015, quando le marce delle torce percorsero tutto il paese a fronte del saccheggio e smantellamento del settore salute.

Dal suo arrivo al potere nel 2014, Hernández è stato fortemente sostenuto da istituzioni come le Forze Armate, la Polizia Nazionale o la Corte Suprema di Giustizia, istituzioni chiave per mantenersi al potere.

A questa situazione si aggiunga l’appoggio che Donald Trump ha mostrato verso Hernández, considerandolo un alleato fedele contro la migrazione priva di documenti verso gli Stati Uniti, questo dopo la firma del trattato per trasformare l’Honduras in un paese terzo, sicuro, in cui gli Stati Uniti possano deportare i richiedenti asilo.

Finché il governo honduregno continuerà a promuovere leggi che criminalizzino i settori che appoggiano i migranti, Trump continuerà ad appoggiare Juan Orlando Hernández. Il 16 ottobre il Dipartimento di Stato USA ha emesso un comunicato nel quale rendeva pubblico il ripristino della cooperazione militare con l’Honduras, sospesa mesi prima per gli scarsi risultati del paese nella lotta contro la migrazione illegale.

Oggi Hernández si aggrappa al potere e nega tutte le accuse, attribuendo il tutto ad una cospirazione dell’opposizione e a delinquenti, dato il “lavoro esemplare di lotta contro il narcotraffico” della sua amministrazione.

Nonostante l’evidenza travolgente della sua collusione col crimine organizzato, il presidente agisce con il sostegno del suo partito, dei mezzi d’informazione, dei principali leader della Chiesa e delle istituzioni.

La presente situazione riflette fino a che punto può essere pervasiva la criminalità in collusione col Governo capeggiato da Hernández.

Il quale, inoltre, non ha esitato a rispondere a ferro e fuoco ai settori che da anni richiedono le sue dimissioni. Il ricordo della cruenta repressione delle proteste elettorali del dicembre 2017 è vivo nell’immaginario collettivo, senza che ciò riesca a far vacillare la gioventù honduregna, che ha mostrato la sua determinazione di non abbandonare le strade.

Così da venerdì scorso la popolazione mantiene varie mobilitazioni a livello nazionale, che possono vedersi contagiate dallo scenario latinoamericano e risultarne rafforzate, insieme ai settori che in passato sono stati protagonisti della denuncia contro Juan Orlando.

Sebbene le proteste non presentino ancora rivendicazioni economiche, è solo questione di tempo affinché settori come la salute o l’educazione possano manifestare le loro istanze e mettere nuovamente in discussione gli elementi strutturali che mantengono il paese in uno stato di crisi politica, economica e sociale permanente.

Mentre si chiude questa edizione, solamente a Tegucigalpa circa cinquemila manifestanti da venerdì 18 ottobre si sono concentrati al grido di “Fuori JOH”, mentre continuano i blocchi stradali nelle principali città.

 

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